lunedì 25 giugno 2007

La criminalità organizzata in Emilia Romagna

Iniziativa sull'infiltrazione della mafia nel territorio della nostra regione
organizzata dalla Sinistra Giovanile di Bologna
La criminalità organizzata, nelle sue diverse espressioni, Camorra, ’Ndrangheta, Cosa nostra,Triade Cinese ecc., è presente in diverse regioni del nord e l’Emilia Romagna non fa eccezione. Nel corso degli anni si sono susseguite indagini giudiziarie, processi, condanne nei confronti di clan malavitosi appartenenti soprattutto alla camorra e alla ‘ndrangheta. Le stesse informazioni provenienti dai conoscitori del crimine organizzato e quelle provenienti dai corposi documenti ( vedi ‘ Quaderni di città sicure ’ o le ‘ Relazioni annuali della direzione nazionale antimafia ‘) affermano la presenza del fenomeno mafioso nei territori emiliani romagnoli. Nonostante ciò, il problema è sottovalutato, si crede che l’assenza di sparatorie, d’omicidi, d’intimidazioni e di comportamenti tipici dell’agire mafioso sia sufficiente a sostenere l’assenza della criminalità organizzata, dimenticando però che il fenomeno mafioso nei territori del nord Italia, agisce in modo da evitare l’attenzione su di se. La mafia nel nord Italia e nell’ Emilia Romagna è rappresentata non soltanto dalla gestione della prostituzione e dello spaccio di droga ma anche da ristoranti, pub, discoteche, imprese edili, agenzie di vario genere, utilizzati prevalentemente per ripulire denaro sporco. Un reato questo, a differenza di quanto si pensa, non meno riprovevole degli altri crimini mafiosi. E’ il denaro frutto di disgrazie altrui: estorsione, usura, infiltrazioni nella pubblica amministrazione, situazioni che generano veri e propri drammi, inaudite sofferenze per molte famiglie italiane, realtà in cui si registrano violenze fisiche e minacce, azioni che lasciano segnate le loro vittime per intere esistenze. Attività realizzate per riciclare denaro, creare nuovo business e soprattutto radicare il gruppo criminale nel territorio. E’ questo ultimo, infatti, l’obbiettivo principale. Gli affiliati sono consapevoli che una volta radicati, grazie alla loro apparente onestà, possono meglio aggredire il territorio. Col passare del tempo creano il loro entourage nelle realtà settentrionali dove si sono stanziati, fanno importanti amicizie per poter meglio gestire la loro economia, stringono rapporti con avvocati, commercialisti, funzionari di banche, politici, persone queste il più delle volte ignare della situazione criminosa che vi è alle spalle, ma altre volte veri e propri complici abbagliati dal denaro e dalla “‘soddisfazione” di appartenere a un gruppo potente. A volte le persone avvicinate invece d’indignarsi attuano un “buonismo” eccessivo dimenticando l’appartenenza o il legame ai più terribili e sanguinari clan della ‘Ndrangheta, della Camorra o di Cosa nostra. Difficile stanare questi gruppi perché non sempre la loro attività è riconducile al nome e al cognome di una nota famiglia mafiosa, normalmente i clan si avvalgono di persone incensurate e con cognomi differenti rispetto ai capi clan.
La criminalità organizzata è percepita dalla popolazione molto dopo il suo stanziamento. La società civile inizia a prendere cognizione del problema soltanto dai mezzi d’informazione. Purtroppo però quando si vedono gli arresti, quando si emettono le sentenze, quando leggiamo i titoloni sui giornali significa che ci sono già organizzazioni criminali ben strutturate e consolidate sul territorio, significa già che la vita amministrativa di una città può essere stata condizionata, significa che ci sono persone vittime dell’usura o dal racket che magari non si sono sentite di denunciare le violenze.
I processi evolutivi delle ’ndrangheta, della camorra e in generale delle mafie fuori regioni parlano chiaro: essi si stanziano su un dato territorio con un’onesta e lecita attività ( ovviamente apparente ) e poi nel corso degli anni iniziano ad incancrenire un altro territorio, realizzando ed acquistando nuovi locali e imprese in barba alla perfetta concorrenza, rovinando e portando al fallimento le aziende e le attività in concorrenza con le proprie e a loro non alleate. Situazioni queste successe in realtà del nord Italia e delle stessa Emilia Romagna si pensi a Milano, La Spezia, Torino o Reggio Emilia.
Il singolo cittadino, vuoi che esso sia commerciante, imprenditore, pubblico amministratore è nettamente impreparato a fronteggiare questi personaggi, perché si trova a competere con un’intera organizzazione e, cosa peggiore, si trova a subire comportamenti che nulla hanno a che fare con il suo stile di vita imperniato sul vivere civile, l’educazione, il buon costume. La singola persona è in assoluta difficoltà nel difendersi dalle violenze mafiose. E’ non perché e debole o paurosa ma perché si trova di fronte un tipo di violenza che non ha mai immaginato di dover affrontare per la sua brutalità.
Molti cittadini dell’Emilia Romagna credono che la criminalità organizzata esista solo nel meridione. Occorre iniziare a pensare che forse l’Emilia Romagna non è immune da queste cose e che essa non è poi tanto diversa dalle molte altre realtà del nord Italia dove la criminalità si è già radicata.
E’ necessario che la popolazione e le classi interessate prendano coscienza del problema soprattutto in presenza dei primi indizi ( leggi ‘ Quaderni di città sicure ’ e le ‘ Relazioni annuali della Direzione Antimafia ‘ ), senza aspettare di leggere sui giornali o di udire dalla televisione le retate della polizia, le indagini e le sentenze giudiziali contro i clan mafiosi, il racconto di turno ( purtroppo ) del commerciante o amministratore perseguitato dai mafiosi.
Quello che è a rischio nei prossimi decenni è un qualcosa che è sempre stato considerato come scontato, è la liberta imprenditoriale, è la liberta di iniziativa economica, è la liberta amministrativa e di autodeterminazione della città.
Esse hanno costituito le basi dello sviluppo economico-sociale-culturale della regione. Il commerciante è sempre riuscito a svolgere in questo territorio la sua attività in modo libero e onesto senza subire alcuna violenza. Il singolo amministratore è sempre riuscito ad amministrare in modo libero e soprattutto nell’interesse della collettività.
Prendere cognizione del fenomeno mafioso significa difendere i nostri diritti.

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